domenica 15 giugno 2008

Autostop

Duecentodiciannove chilometri dall'ultimo pieno di gasolio. La lancetta del tachimetro oscilla annoiata tra i numeri bianchi cento e centodieci. Non mi piace correre in macchina, non mi e' mai piaciuto, mi tende i nervi, mi stanca mi stressa... mi... non so neppure io, non fa' parte di me e di quella che e' la mia idea del viaggio. Questa macchina a noleggio si stara' forse annoiando con un autista come me. Pazienza. Duecentodiciannove, tanti sono i chilometri che son passati sotto le ruote dall'ultima sosta, inizia ad esser chiaro tutto attorno, tra poco sorgera' il sole. Vorrei tanto riuscire ad arrivare sul lungomare prima del sorgere del sole, ma non sono ancora alle porte di Bologna ed i chilometri per arrivare sull'Adriatico sono ancora troppi. Milena e' seduta alla mia destra. Ogni tanto la guardo per capire se stia dormendo o se sia sveglia. Ha gli occhi sempre aperti e fissi sulla strada. Non sembra una persona di compagnia, non con me perlomeno. Forse ha solo qualche problema ad esprimersi, non parla benissimo l'italiano. Forse non si chiama neppure Milena, ma si e' presentata cosi' quando l'ho fatta salire in macchina. Se ne stava sulla piazzola vicino alle pompe di benzina con lo zaino ed un cartello di cartoncino bianco con scritto "BOLOGNA". Non aveva l'aspetto della tossica o della serial killer, sembrava una ragazza qualunque, molto ordinaria. Non carico mai autostoppisti. Non ne avevo mai caricato nessuno, ma stavolta e' andata cosi'. Qualcosa in lei mi ha dato fiducia. Tanta fiducia da farmi dimenticare Rutger Hauer in hitchhiker e le raccomandazioni della mamma sugli sconosciuti. "Sono partita ieri di Lubiana" e' una delle poche cose che mi ha detto col suo accento slavo. Certo che deve avere una gran fiducia nel prossimo oltre che in se stessa per viaggiare in questo modo da sola. Non so quale sia la sua meta, mi ha chiesto di portarla a Bologna in un'area di servizio dell'autostrada che sia abbastanza grande per trovare un'altro passaggio. Magari prosegue anche lei verso l'Adriatico, magari verso sud, magari proprio a Pescara, dove sto andando io. Sembrerebbe cosi' facile chiederlo ma non riesco ad aprir bocca. Non capisco. E' come se ci fosse un muro tra di noi. E' come se non ci fosse nessuno su quel sedile. Non avevo voglia di viaggiare da solo anche stavolta. Avere qualcuno a fianco mi aiuta a stare sveglio. Pero' due parole si potrebbero scambiare... Ma cosa le dico... cosa le posso chiedere... non dovrebbe essere difficile... dai, apri la bocca... prova a dire qualcosa... Niente. Non ce la faccio. Peggio della maturita'. Ricordo la commissione, una professoressa con un cognome tedesco che iniziava con la "kappa" mi interrogava, io seduto davanti a quella donna, i miei professori accanto a lei, cinque compagni dietro di me vicini al muro. Ricodo ancora quel silenzio. Un silenzio che non sembrava finir mai. Lei mi guardava, sentivo i suoi occhi su di me. Io avevo lo sguardo basso, fisso sulle mie mani. Non rispondevo alle domande, stavo semplicemente li' a guardarmi le mani. La pressione di quel silenzio mi schiacciava lo stomaco e i polmoni. A stento riuscivo a deglutire. Ricordo le prime tre domande, Verga, Leopardi e Manzoni. Poi piu' nulla. Non so se ne abbia fatte altre dieci, cento, mille o magari nessun'altra. Non lo so. Non sentivo. Sentivo solo quel tremendo silenzio. Ricordo solo la voce del professore di tecnologia: "...ti senti bene?". Forse era preoccupato, non ho mai saputo che espressione avesse in quel momento perche' i miei occhi rimasero fissi sulle mie mani. Non so per quanto altro tempo ancora. Un'eternita'. Forse due. Un silenzio eterno. Stavo li' imbambolato a guardarmi le mani e basta. Guardo ancora Milena, ha sempre gli occhi fissi sulla strada. Probabilmente si accorge delle mie occhiate, ma fa' finta di nulla. Un cartello indica un'autogrill con ristorante a millecinquecento metri. Rompo il silenzio. "Ti lascio li'?". Dopo due ore di silenzio non sono proprio riuscito a dire nulla di meglio. Forse la parola non sara' il mio modo preferito di comunicare, ma stavolta sto rasentando la parodia di un film muto. "Si". Risposta affermativa. Tra poco scende. Mi sento abbastanza sollevato, non reggo piu' questa situazione. Metto la freccia ed entro nell'area di servizio. Rallento e mi fermo. Non spengo il motore, voglio scappare subito. "Milena, mi dispiace, spero che il prossimo passaggio sia per te un po' piu' divertente!" Forse avrei dovuto dirle veramente queste parole mentre scendeva dall'auto e si rimetteva lo zaino sulle spalle, ma dalla mia bocca non sono usciti suoni di alcun genere, non dico un "buon viaggio" ma neppure un "ciao". La portiera che si chiude mi fa' lo stesso effetto del suono della campanella dell'ultima ora a scuola. Mi sento in colpa per il senso di sollievo che provo. Metto in prima e riparto senza pensare, senza guardare nello specchietto, senza parlare. Il mare e' ancora lontano, tra poco il sole sorgera', non vedro' l'alba sull'Adriatico, peccato.

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